Un nuovo studio internazionale punta i riflettori su cifre da capogiro: all’interno di numerosi crateri lunari si celerebbe una concentrazione di metalli pregiati che sfiorerebbe il valore di mille miliardi di dollari.
Secondo gli autori, la Luna potrebbe trasformarsi in un obiettivo economicamente irresistibile, un’ipotesi che riaccende il dibattito sulle risorse extraterrestri proprio mentre le missioni Artemis riportano l’umanità sul suolo lunare dopo oltre mezzo secolo.
Osservando le stime preliminari, la nostra compagna celeste appare più promettente delle fasce di asteroidi vicine alla Terra, considerate in passato troppo costose da raggiungere e sfruttare. La nuova analisi, perciò, rilancia il tema dell’estrazione spaziale con prospettive del tutto rinnovate.
Uno sguardo al modello scientifico
La nuova ricerca coordinata dal canadese Jayanth Chennamangalam ha coinvolto istituti di primo piano tra Birmingham, Cambridge e Daytona Beach. Gli scienziati hanno combinato dati orbitali, cataloghi di crateri e statistica bayesiana per stimare il potenziale minerario lunare.
Nella loro mappa spiccano circa 1,3 milioni di cavità con diametro superiore al chilometro, di cui un tre per cento generato dall’impatto di asteroidi di classe M, noti per l’elevata concentrazione metallica.
Una parte di questi corpi celesti avrebbe colpito il terreno a velocità relativamente moderata, permettendo al materiale di depositarsi sul fondo invece di vaporizzarsi. Il calcolo produce un totale di 6.500 crateri potenzialmente ricchi di platinoidi e altri 3.400 contenenti minerali idrati, anch’essi utili per future colonie.
Il tesoro dei platinoidi
Iridio, osmio, palladio, rodio, rutenio e naturalmente platino rappresentano l’élite degli elementi siderofili, apprezzati per resistenza all’ossidazione, densità elevata e stabilità termica.
Questi metalli, rari sulla superficie terrestre perché sprofondati nel nucleo durante le prime collisioni planetarie, si troverebbero invece concentrati in specifiche zone lunari, pronte a essere identificate da sonde e lander di prossima generazione.
Curiosamente, ricerche condotte dall’Università di Gottinga suggeriscono che gli stessi elementi risalgano talvolta dal mantello terrestre, segno che simili processi di arricchimento non sono esclusivi della Luna ma risultano semplicemente più accessibili in ambiente privo di atmosfera e tettonica.
Ostacoli tecnici e questioni giuridiche
Passare dalla teoria alla pratica resta un’impresa titanica: l’estrazione richiederebbe robot autonomi capaci di operare in un contesto ostile, con temperature estreme, polvere abrasiva e assenza di atmosfera.
Anche il trasporto verso la Terra porrebbe problemi economici enormi, perché il peso dei carichi ridurrebbe l’efficienza dei lanci e farebbe lievitare i costi logistici. Il valore del bottino, tuttavia, entusiasma gli investitori, alimentando valutazioni sul rapporto tra spese e potenziali guadagni.
Sul fronte legale il Trattato sullo spazio extra-atmosferico vieta agli Stati di rivendicare territori oltre confine terrestre, ma lascia uno spiraglio alle iniziative private; una zona grigia che potrebbe essere ridefinita mentre le agenzie spaziali avanzano con programmi permanenti sul suolo lunare.