Il 7 dicembre 1972 gli astronauti di Apollo 17 rivolsero l’obiettivo verso casa e, a 29 000 chilometri di distanza, fissarono per la prima volta l’intero pianeta a colori: nacque la “Biglia Blu”. Quell’immagine, con la Terra sospesa nel buio cosmico, sarebbe diventata un’icona ambientale, un invito a considerare la fragilità di ciò che chiamiamo casa.
La fotografia che cambiò il nostro sguardo

L’unicità dello scatto dipende dalla fortunata geometria tra navicella, Sole e Terra: la luce solare illuminava in maniera uniforme il globo, consentendo di coglierne il volto senza ombre — evento tutt’altro che frequente.
Nella parte superiore si riconoscono il Mediterraneo, la Penisola Arabica e il Corno d’Africa; più in basso, un manto nuvoloso avvolge l’emisfero australe, mentre l’Antartide luccica lungo il margine inferiore. Quella pellicola di colori intensi consegnò ai posteri la consapevolezza di trovarsi su un’isola azzurra, circondata soltanto da spazio infinito.
Dalla Biglia Blu ai satelliti di nuova generazione

Cinquant’anni più tardi, la tecnologia ha moltiplicato le nostre “finestre” sul pianeta. Il 7 dicembre 2022, per celebrare l’anniversario della fotografia, la sonda DSCOVR della NASA ha ripreso la Terra ogni 15 minuti tramite la camera EPIC, fornendo una sequenza in alta definizione capace di confrontare il volto di allora con quello di oggi.
Il panorama attuale rivela cambiamenti marcati: il deserto del Sahara avanza verso sud erodendo la fascia tropicale, la banchisa antartica si ritira lasciando scoperto l’oceano, e la superficie terrestre riflette meno luce, segnale di un mutato equilibrio nell’albedo atmosferico.
EPIC osserva su dieci canali spettrali che spaziano dall’ultravioletto all’infrarosso; grazie a queste bande i ricercatori monitorano ozono, aerosol, composizione delle nuvole e persino la forma dei cristalli di ghiaccio sospesi in quota.
Alexander Marshak, scienziato capo della missione, ha ricordato che questo flusso continuo di dati permette una sorveglianza globale senza interruzioni. Dai suoi studi emergono indicatori preoccupanti: intensificazione degli eventi meteorologici estremi, raddoppio degli incendi boschivi negli ultimi vent’anni, riduzione della copertura vegetale e variazioni nella tonalità degli oceani.
La Terra, insomma, sta cambiando a ritmi che la fotografia del 1972 non avrebbe potuto farci intuire, e la sfida contemporanea passa dall’ammirare quel ritratto alla responsabilità di prendersi cura del soggetto fotografato.